Scopri cosa gli esperti del personal branding si “dimenticano” di dirti, usa il contatto diretto e sfrutta il vantaggio della tua esperienza
Qualche giorno fa è stato pubblicato un articolo nella pagina LinkedIn di Colloquio Diretto che descrive come un Over40 deve orientarsi per evitare di essere “rottamato” dalla agguerrita generazione dei Millenials (i lavoratori con meno di 38 anni).
Di seguito ti riporto il commento a questo articolo, inserito da Gianluigi Bonanomi che si definisce un “Giornalista hi-tech | Social Media Specialist | Formatore | Autore | Direttore Fai Da Tech (eBook) | Fondatore ClasseWeb” in cui sostiene che l’unico modo che ha un Over40 per sopravvivere sono gli strumenti di “personal branding”.
Buongiorno David, sono qui a rispondere a questo suo (interessante) articolo ma al contempo a rispondere a quanto ha scritto in commento al mio: https://goo.gl/s7Zumu.
Innanzitutto mi sento di dire che sono perfettamente d’accordo con le premesse: i Millenials sanno comunicare meglio e di più degli Over 40 ma non sono assolutamente d’accordo con le conclusioni, anzi con gli strumenti. A mio modesto parere, gli Over devono necessariamente imparare a usare i nuovi strumenti, possibilmente meglio dei ragazzi. La logica deve essere quella dell’inbound marketing, del content marketing a me tanto caro: perché un Over, così esperto, non può tradurre questa esperienza in contenuti digitali, il cui uso strategico possa portargli contatti, opportunità e – perché no? – un lavoro? Un buon profilo LinkedIn, anzi un uso strategico del profilo LinkedIn è la base per tutti ormai. Al limite anche un VideoCV, anche se sarebbero meglio brevi video da spargere sui social come semi. E poi eBook, un blog e altro ancora.
Se gli Over 40 vogliono avere una speranza devono battere i Millenials sul loro terreno. Anche perché di altri terreni io non ne vedo.
Ecco la mia risposta.
Gianluigi, tutti belli e facili gli strumenti che propongono alcuni, per fortuna una minoranza, “esperti del personal branding” se non fosse che ci sono dei problemi che “stranamente” non vengono menzionati da queste persone quando accalappiano il malcapitato che si affida alle loro “arti” e che invece sono assenti nelle proposte di collaborazione diretta.
- Il 1° problema di cui si “dimenticano di avvertire” è: Il tempo.
Il blog, gli ebook, i post sui social network e tutti gli altri strumenti di “personal branding autoincensanti” ti fanno sembrare un personaggio di successo e poi i “like”, che figata! Peccato che per arrivare a produrre dei contenuti originali e di valore che siano in grado di attirare il potenziale datore di lavoro ci vogliono mesi (se non anni).
Invece, una proposta di collaborazione diretta, se impostata e recapitata con i giusti modi, arriva all’attenzione del destinatario in pochissimo tempo. Fine del travaglio.
Ma ammettiamo che per qualche strana ragione, un Over40 voglia passare mesi a scrivere contenuti interessanti mentre qualcun altro gli soffia i lavori per cui è pienamente qualificato.
- Arriva il 2° problema: Ognuno è diverso.
È difficile riuscire a interessare con lo stesso articolo/ebook/podcast un Direttore Generale, un imprenditore o qualsiasi figura professionale che ha il potere di iniziare una collaborazione professionale con te.
Ma se a questo aggiungi che a parità di funzione aziendale, queste persone lavorano in realtà diverse (una multinazionale straniera è diversa di una PMI italiana, un’azienda che produce alimentari non assomiglia minimamente a una che si occupa di servizi sanitari, …) l’impresa è impossibile.
Invece, una proposta di collaborazione diretta, è personalizzata sul tipo di persona e azienda a cui si invia proprio perché il destinatario ha esigenze, culture e linguaggi diversi (e apprezzerà molto che tu lo abbia capito).
Ma facciamo finta che l’Over40 ha la fortuna (o sfortuna?) di poter lavorare per un solo tipo di azienda e che debba necessariamente rivolgersi a un solo tipo di interlocutore.
- Se questo non basta ecco il 3° problema: Lo strumento.
Evito penosamente di esprimere cosa ne penso del Curriculum Vitae standard, del Video CV e di alcune Società di Selezione, in quanto ormai questi strumenti sono diventati così inutili che addirittura influencer come Marco Montemagno o popolari riviste satiriche come Lercio, ne parlano ormai in maniera imbarazzata.
Parliamo del profilo LinkedIn. Io non sono contrario ad averlo, anzi. Ne ho anche uno abbastanza curato. Ma basare la tua strategia di ricerca sul presupposto che il datore di lavoro abbia il tempo, la voglia e l’interesse di venirti a cercare, ti farà male, molto male.
Mettiti un attimo nei panni di un imprenditore o comunque di chi ha un ruolo importante in azienda. Arriva in ufficio e trova la solita valanga di problemi da risolvere e scadenze da rispettare. Come se questo non bastasse, ogni giorno riceve una montagna di autocandidature.
Secondo te, questa persona che fa? Si mette a navigare su LinkedIn in cerca di qualcuno da assumere?
Una proposta di collaborazione diretta e persuasiva è il 1° passo per portare il tuo potenziale datore di lavoro a sentire il bisogno di incontrarti. Se poi ha bisogno di altre informazioni, allora si che arriva il momento di far intervenire il tuo profilo LinkedIn MA NON PRIMA di avere ottenuto il suo interesse.
L’inverso non funziona… mai.
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Buon lavoro!
David
Buongiorno David,
le tue posizioni sono chiare, in parte condivisibili; altrettanto chiaro è il fatto che la mia idea di ricerca di lavoro, ispirata all’inboud marketing, strida con il tuo modello outbound del Colloquio diretto, che conosco. Forse però stiamo parlando di due mondi diversi. Mi capita spesso di tenere conferenze per genitori sull’uso consapevole della tecnologia e della Rete. I “matusa” non capiscono l’approccio alla tecnologia dei “raga” perché vivono in mondi paralleli. Gli Over 40 sono il popolo dei manuali (come il tuo): per imparare qualcosa devono avere un libro che glielo spiega. I ragazzi non si sognerebbero mai di usare un manuale: provano, sbagliano, riprovano, risbagliano e imparano. Temo che, anche sul tema della ricerca del lavoro, stiamo parlando di posizioni (apparentemente) inconciliabili.
In ogni caso provo a risponderti nel merito, punto per punto.
1. Questione tempo. Vero: avere un sito Web o un blog richiede tempo (ma sarebbe tempo speso bene, magari sottratto alla partita o a Masterchef). Eppure basterebbe un buon profilo LinkedIn. Sai quanto tempo ci vuole per gestire bene e far fruttare un profilo? Nove minuti al giorno, parola di LinkedIn: http://www.datamanager.it/news/linkedin/bastano-9-minuti-al-giorno-avere-una-carriera-di-successo
2. Ognuno è diverso. Proprio per questo ognuno dovrebbe fare emergere questa diversità online, con una strategia di posizionamento personalizzata. Ma tu parli della diversità dei destinatari. Infatti, come nelle migliori strategie di content marketing, ci si focalizza sul target, e si scrivono testi diversi per target diversi. Perché non farlo anche in ottica personal branding? Poi, se vogliamo dirla tutta, tanto diversi gli umani non sono, se le regole della persuasione di Cialdini funzionano da decenni praticamente per tutti…
3. Lo strumento. I datori di lavoro non hanno tempo e voglia di leggere quel che pubblichi o il tuo profilo? Non mi risulta affatto. La stragrande maggioranza degli iscritti LinkedIn non lo usa per trovare lavoro, ma per condividere e leggere informazioni. Anche se i gruppi sono un po’ in disgrazia, sono nati proprio per quello.
“Sai quanto tempo ci vuole per gestire bene e far fruttare un profilo? Nove minuti al giorno, parola di LinkedIn: http://www.datamanager.it/news/linkedin/bastano-9-minuti-al-giorno-avere-una-carriera-di-successo”
Buongiorno Gianluigi,
mi permetta di esprimere il mio scetticismo al riguardo, in questo caso l’analogia al popolare detto “chiedere all’oste se il suo vino e’ buono” mi sembra alquanto azzeccata, poco importa se alla fine Linkedin non sta facendo altro che riportare quanto ‘determinato’ da Arruda.
“Lo strumento. I datori di lavoro non hanno tempo e voglia di leggere quel che pubblichi o il tuo profilo? Non mi risulta affatto.”
Anche in questo caso mi permetta di dissentire: non posso chiaramente parlare anche per gli altri ma ritengo abbastanza sospetto, o per stare nel politically correct diciamo anomalo, che nessuno, tra coloro che hanno pubblicato su Linkedin diversi annunci di lavoro ai quali ho risposto essendo pienamente corrispondente alle figure ricercate, abbia voluto investire non dico 10 ma almeno 5 secondi del loro tempo per visionare almeno l’inizio del mio profilo, neanche in forma anonima.
Magari sono io che vedo le cose in modo sbagliato, pur essendo un matusa che per natura va contro corrente e/o contro la statistica visto che da sempre, prima di leggere un manuale e ammesso e non concesso che alla fine lo faccia davvero, preferisco sbattere la testa provando e riprovando tutto quello che ho davanti, ma anche (e specialmente) da matusa sono sempre pronto ad imparare cose nuove e se devo imparare qualcosa per (ri)portare la mia visione delle cose sul binario giusto ben venga.
Cordiali saluti
Angelo Maggio
Ho da poco scoperto questo sito, grazie a LinkedIn, e mi trovo totalmente d’accordo con David.
Non si può pensare di trovare lavoro creando contenuti da diffondere nel web nelle più disparate modalità e per i più diversi profili e target.
O si ha bene in mente il servizio che si vuole proporre ad una certa azienda, di un determinato settore, oppure è meglio rivolgersi direttamente all’azienda, candidandosi in maniera diversa rispetto alla massa.
Cosa fa la massa?
Quello che afferma David: invia email allegando il CV che presenta un elenco di vuote informazioni e che viene presentato con un testo anch’esso privo di personalità, testo copiato e incollato o frutto di omologazione.
Io preferisco proporre ciò che posso e voglio fare, anziché dire: ho studiato X presso Y, ho lavorato da Tizio e poi da Caio (che noia!!!).